In questo articolo cerco di dare spiegazioni su ciò che significa questo esame, e come fare a evitare dei passi falsi, sia a difendersi da eventuali eccessi o interpretazioni non giustificate.
A cosa serve e quando viene richiesto?
L’esame è richiesto per identificare determinate sostanze (droghe o farmaci solitamente) a fini legali. Il capello è preferito ad altri liquidi biologici perché conserva traccia a lungo termine dell’esposizione a queste sostanze, come fosse un registratore del passaggio di queste sostanze dal sangue (quindi esposizione dall’interno, dopo averle assunte per varia via – naso, polmoni, iniezione, assorbimento transcutaneo etc).
Che lunghezza è utile?
Quando si richiede un campione, si deve specificare di che lunghezza in questo caso, per consentire alla persona di prepararsi al prelievo senza commettere errori.
Alcune persone, per eliminare la maggior quantità di tracce possibili, si presentano rasate o si tagliano i capelli per presentarsi poi con un pelo ricresciuto di poco, quanto basta per essere “accettabile” e prelevabile. Questo però può essere un passo falso. Se una persona si presenta in pratica “rasata” è come se dicesse che non gli scappa la pipì quando è invitata a lasciare un campione di urina: l’esame risulta “nullo” e quindi, se chi valuta dovesse essere severo (senza per questo essere ingiusto), si dovrebbe presumere una positività perché la persona ha alterato le condizioni di esame, o ha rifiutato di consegnare il campione da esaminare.
Idem, se nella richiesta si specifica una lunghezza, e il periodo richiesto, un capello tagliato di fresco risulta inadatto.
Un paio di esempi. Una persona è chiamata a render conto dell’uso di una droga nel periodo a cavallo di un incidente stradale, o di un qualsiasi atto sanzionabile, per sapere in sostanze se in quel periodo faceva uso, senza poter specificare se proprio in quell’occasione, ma in generale in quel periodo. Se la persona, saputo che si dovrà presentare dopo tot tempo, per questo scopo, si taglia prima il pelo, cancella così le tracce “passate”, e la registrazione riparte dagli ultimi giorni prima del taglio. Quindi, mettiamo che poi il capello sia “pulito” in riferimento all’ultimo mese, non si hanno notizie sul periodo precedente, e se invece la richiesta era quella, l’aver tagliato i capelli potrebbe esser visto come un tentativo doloso di cancellare le prove, per una misurazione ormai “irripetibile”.
Chiaro che queste misurazioni, perché siano affidabili e chiare, dovrebbero esser fatte subito e in maniera informata nel dettaglio, mentre spesso non è così.
Se la persona per esempio non è stata informata sulla lunghezza del materiale richiesto, né sullo scopo, il fatto di produrre un capello ricresciuto da poco, e quindi solo informazioni recenti, e non di molti mesi prima, non deve essere necessariamente visto come “sospetto” o doloso.
Che significa che il capello è positivo?
Un esame del capello non consente in alcun modo di porre diagnosi di tossicodipendenza o di uso “patologico”, semplicemente rileva una esposizione, che al massimo può essere quantificata. Si può insomma stabilire, che nel periodo tra tot e tot, la persona è stata esposta più o meno regolarmente, più o meno pesantemente, ad una sostanza. Se si esamina il capello in frammenti diversi, si può ricostruire una cronologia più precisa, a prezzo però di una minore “sensibilità” del cogliere usi di basso livello.
Un esame del capello positivo non consente in alcun modo di stabilire se una persona si trovava in condizioni alterate in uno specifico momento, così come anche quello delle urine.
Cosa fare se il capello è positivo e si vuole dimostrare un errore?
Innanzitutto, l’esame andrebbe ripetuto in automatico per minimizzare gli errori legati a fattori contestuali o a errori del kit di esame. Ci possono essere però false positività, cioè risultati positivi perché il test reagisce a sostanze diverse, imparentate o meno con quella che sarebbe in teoria l’obiettivo dell’esame.
Ovviamente i farmaci assunti sono una delle possibili ragioni di false positività. Non tutte le reazioni sono note, quindi capita che nel tempo siano pubblicati dei dati circa nuove false positività.
E’ importante conoscere il tipo di kit utilizzato per l’esame, oltre che il tipo di esame eseguito, che comunque è uno standard. In base al kit si possono verificare meglio le false positività attese.
Alcuni medicinali, come ad esempio antidolorifici oppiacei, possono dare reazione positività, che è “falsa” se si intendeva misurare oppiacei di altro tipo (per esempio eroina), ma è fino a prova contraria vera se si intendeva misurare in generale una serie di oppiacei chimicamente simili. Ad esempio, se una persona abusa di ossicodone, o di buprenorfina, l’esame non permetterà di distinguere la provenienza, né la modalità d’uso. Si saprà soltanto che quella persona ha assunto quella sostanza.
E’ chiaro che per fugare dubbi di questo genere una persona dovrebbe certificare già in partenza le cose che assume, ma molti ritengono di non farlo per timore di conseguenze negative (esempio rendere noto che sono tossicodipendenti in trattamento, anche se con successo e senza niente da nascondere, oppure perché la cosa potrebbe essere letta come un tentativo di confondere le acque in presenza invece di qualcosa da nascondere; o ancora perché comunque, anche se di derivazione medicinale e assunta a scopo terapeutico, una serie di sostanze rientra almeno ad un primo esame nella lista delle “sostanze” legalmente problematiche o vietate.
Dichiarazioni e capello
Molte persone si sentono in dovere, o pensano sia una buona idea, rilasciare dichiarazioni spontanee su cosa usano o hanno usato, in previsione di dover poi consegnare un esame del capello.
La cosa migliore è sentire prima il proprio avvocato o consulente. Se una persona, ad esempio, dichiara di non fare uso alcuno né di aver mai toccato niente, e poi l’esame rivela altro, la cosa può dare un’impressione negativa, a cui si dovrà magari poi rimediare rettificando in qualche modo.
Se invece un esame viene fuori positivo, ma del resto la persona aveva già dato una sua versione, la cosa è invece uno scoglio per chi voglia poi accusarlo di qualsiasi cosa. In altre parole, uno che abbia dichiarato un utilizzo, sapendo che sarebbe venuto fuori, fino a prova contraria non è tossicodipendente (occorrono altri elementi di altro tipo per dirlo), mentre il fatto che uno abbia negato e magari continui a negare anche l’evidenza di un esame ripetuto fa pensare che lo sia.
E’ quindi bene capire anche che l’esame non può dire tutto, ma che quello che dice deve trovare un riscontro plausibile, e non può essere semplicemente “cestinato”, a meno che non si dimostri che è stato eseguito in maniera inadeguata.
Assunzione “passiva” e fumo passivo
La contaminazione passiva è possibile, tuttavia le sostanze provenienti dall’interno di fissano nel capello in maniera diversa dai contaminanti esterni. Il procedimento di preparazione rende questa interferenza quindi non rilevante. Si può ipotizzare una contaminazione interna attraverso esposizioni passive: tuttavia, per analogia con esami urinari, le quantità tendono ad essere basse, per cui se il test ha una soglia di tolleranza, è inverosimile che una esposizione passiva renda positivo un esame del capello per una sostanza specifica presente in minima quantità (tipo il thc). Già negli esperimenti fatti ad hoc, i livelli risultano minimi in condizioni non realistiche, tipo fumo in abitacolo sigillato per un’ora.
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