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ACCERTAMENTI TOSSICOLOGICI PER VARIE SITUAZIONI (GUIDA, AFFDAMENTO FIGLI, LAVORO ETC)
La concessione della patente di guida, il rinnovo e la revisione sono vincolate alla certificazione delle medicine che si assumono e delle diagnosi confermate. Di questi dati è richiesta l’auto-certificazione, ma può essere chiesto anche il cosiddetto certificato anamnestico, cioè un certificato del curante che attesta quanto è a conoscenza del medico (e di solito inserito in un sistema di registrazione dei dati sanitari da parte del medico stesso, volta per volta). Vi è poi il fascicolo sanitario, che ogni cittadino può consultare tramite credenziali (SPID), e che riporta analoghe informazioni su esami e prestazioni pubbliche. In ciò non sono incluse informazioni relative al privato, che sono quindi lasciate all’auto-certificazione.
Chi nega l’esistenza di diagnosi o le omette è quindi punibile. E’ quindi opportuno, quando si autocertifica, conoscere ciò che risulta ufficialmente, e che potremmo non aver ben presente o non ricordare.
Per il resto, occorre sapere che tra gli psicofarmaci vi sono alcuni ufficialmente elencati come sedativi, narcotici etc e che quindi non sono ritenuti compatibili con la guida e alcune mansioni lavorative, oltre ad alcune prerorative di responsabilità, come la detenzione e l’uso di un’arma. Tuttavia, se la legge non affronta il problema, è possibile caso per caso operare alcune distinzioni:
Lo stato farmacologico non è sempre uguale, ma subisce delle evoluzioni a seconda della modalità di assunzione: una sostanza assunta a dose regolare, ad esempio, può perdere le sue proprietà narcotiche o sedative, che invece mantiene se l’assunzione è irregolare. Oppure, in generale, una sostanza produce un effetto sedativo o narcotico se assunta in dosi superiori al proprio livello di tolleranza attuale, cosicché un individuo può essere normale a dosi alte assunte regolarmente in un determinato periodo, e sedato a dosi molto più basse assunte all’inizio della terapia, oppure assunte in maniera occasionale o irregolare.
In secondo luogo, la stessa sostanza può essere prescritta secondo un determinato schema, in maniera controllata, oppure può essere assunta in autonomia. In questo secondo caso, a meno che a posteriori non sia argomentabile una effettiva correttezza e innocuità, la modalità di assunzione è considerata indice di non affidabilità generale della persona.
Nel foglietto illustrativo dei medicinali è sempre riportata l’avvertenza per la guida. Ciò che non è chiaramente riportato è che esistono invece dati su alcuni medicinali che indicano l’assenza di rischio. Il rischio infatti deve essere riferito non solo e soltanto ad un medicinale e alla sua dose, ma piuttosto ad un insieme di caratteristiche che comprendono la diagnosi, le condizioni di gravità e di evoluzione della malattia psichica (stabile o non, in fase acuta o cronica, con ricoveri recenti o meno, con deficit cognitivi o meno), lo stato farmacologico attuale, l’assenza o presenza di problemi di abuso di sostanze attivi o ricorrenti (irrisolti), gli usi ricreativi di sostanze psicoattive importanti anche quando non costituiscono quadri di abuso dipendenza.
Una preoccupazione ulteriore è costituita dal rischio suicidario, ovvero dal rischio di sinistri stradali prodotti nel contesto di un tentativo di suicidio. In tal caso è possibile quantificare il rischio generico o argomentare e chiarire l’assenza di elementi che portino a ritenere sussistente tale rischio.
I dati in questione vanno presentati e commentati a sostegno del caso specifico, se vi è possibilità di farlo, così come i risultati di eventuali test di idoneità (questi ultimi tuttavia andrebbero eseguiti in maniera certificabile e verificabile).
La relazione a sostegno dell’idoneità alla guida quindi può essere preparata con una presentazione dei dati disponibili e con descrizione del loro significato in relazione al rischio di eventi legati alla guida.
Un capitolo importante e spesso trascurato è l’inaffidabilità dell’alcolemia, cioè il livello di alcol nel sangue al momento dell’incidente o dell’accertamento. Questo livello può essere misurato in due modi
- Direttamente, con un prelievo di sangue venoso
- Indirettamente, con il test “del palloncino”, cioè la misura dell’alcol nell’aria espirata soffiando dentro la bocchetta di un apposito macchinario (alcolimetro), che le forze dell’ordine hanno in dotazione e che usano seduta stante in strada
Le misure definitive quindi dovrebbero essere sempre quelle dal sangue. Purtroppo i prelievi di sangue sono eseguiti per forza di cose con un certo ritardo, o omessi.
Esistono sentenze che hanno assolto soggetti con alcolemie elevate su questa base, e quindi questa linea di difesa è non solo legittima, non solo fondata, ma anche supportata a livello giurisprudenziale. Caso per caso può essere quindi utile argomentare i limiti di affidabilità delle misurazioni, compreso questo importante punto relativo all’errore teorico alla base dell’alcol-test con il respiro, anche se correttamente eseguito.
Le persone che chiedono la conferma o la restituzione della patente, contestata o ritirata per stato di ebbrezza alcolica, sono sottoposte ad esami per valutare il loro consumo alcolico.
Accertamenti sul consumo alcolico possono essere fatti anche per valutare l’idoneità alle mansioni lavorative.
Queste procedure dovrebbero avere, e in parte anno, un significato comportamentale piuttosto che tossicologico: in altre parole vogliono accertare se una persona riesce a mantenersi astinente dall’alco, o comunque a non bere regolarmente e pesantemente, sapendo di doversi sottoporre ad un accertamento in merito all’alcol. Si presume che se una persona non riesce a trattenersi per il periodo richiesto, abbia un rapporto non controllato con l’alcol, oppure abbia un comportamento non attento, tale da far supporre che non presterebbe attenzione a non bere prima di mettersi alla guida.
Nella pratica, si può verificare che però si utilizzino degli esami poco specifici, cioè esami che possono risultare alterati per una serie di condizioni diverse dall’assunzione di alcolici.
Chi mette a punto esami per identificare i consumatori di alcol si preoccupa di due parametri, e cioè che l’esame riesca a riconoscere il maggior numero di consumatori (sensibilità) e che l’esame non scambi per consumatori di alcol anche soggetti che non lo sono (specificità).
Dal punto di vista di chi deve sostenere le proprie ragioni per essere autorizzato a guidare o a lavorare è importante evitare di essere ingiustamente giudicati “positivi”.
In ques’ottica sono utili alcune considerazioni sui principali esami per risalire al consumo di alcol.
CDT (Desialo-Transferrina): è il test attualmente considerato più attendibile come test singolo, ed è in grado di identificare un consumo sostenuto e abbastanza consistente negli ultimi 15 giorni. In altre parole il test positivo indica che una persona ha assunto alcolici in discreta quantità e in maniera continuativa o comunque ripetuta negli ultimi 15 giorni. La sua specificità è del 95% (con le metodiche di elettroforesi capillare e cromatografia liquida ad alta pressione/HPLC), il che però significa che quindi “sbaglia” in 5 casi su 100 nell’indicare come consumatori di alcol soggetti che in realtà non lo sono.
A seconda della tecnica specifica utilizzata, cambia la capacità di identificare le cause di “falsa positività” dell’esame, come ad esempio varianti genetiche. Il valore è sempre espresso come % di CDT sul valore di Transferrina totale.
Il modo migliore per garantire risultati affidabili è utilizzare un doppio esame sullo stesso campione: il primo esame (screening) è eseguito con una tecnica che abbia elevata capacità di identificare tutti i casi positivi, compresi alcuni errori. In caso di risultato positivo si procede quindi con un test di conferma che ha maggiore capacità di distinguere i veri casi positivi dagli errori. Gli esami di conferma non sono utilizzati come primo esame perché, per quanto più precisi, tendono però a non identificare tutti i casi di consumo di alcol, lasciandone fuori alcuni che invece sarebbero positivi. In altre parole, con lo screening si fa una “retata” con alcuni innocenti, con l’esame di conferma si rilasciano quelli che non c’entravano niente.
Gamma-GT: è un parametro che deriva dal fegato, ma non è specifico, perché aumenta per tutta una serie di ragioni che non hanno a che fare con l’alcol. Tra le più comuni, il sovrappeso, una serie di farmaci che ne stimolano l’attività (antiepilettici ad esempio), il diabete, l’infarto, traumi di vario tipo, pancreatite, malattie renali, ipertiroidismo). Da solo non è accettabile come parametro per giudicare un soggetto come consumatore di alcol.
Volume Globulare Medio (MCV): il volume dei globuli rossi, è poco specifico e anche non sempre aumentato nei consumatori di alcol. Da solo non è quindi accettabile come parametro per identificare i consumatori di alcol.
Transaminasi (ALT/GPT e AST/GOT): sono due elementi presenti anche nel fegato, ma non solo. Un rapporto AST/ALT > 2 è indicativo di danno epatico da alcol, ma sono parametri non specifici, poiché aumentano anche in danni muscolari, infarto. Inoltre, non aumentano in tutti i soggetti bevitori, e con la stessa proporzione rispetto all’entità del consumo.
CDT e Gamma-GT insieme (Gamma-CDT): è possibile fare un calcolo sui valori combinati di questi due parametri, il che consente di identificare con una precisione maggiore un consumo di alcol anche moderato ma regolare nelle ultime 2-3 settimane.
Esistono poi altri parametri, utili soprattutto per stabilire se uno stato di ebbrezza è da attribuirsi ad un consumo isolato, occasionale, o continuato.
L’alcol si può dosare nel sangue direttamente, e naturalmente sarebbe il parametro più chiaro, se positivo, nell’identificare bevitori problematici che sapevano di dover rimanere astinenti, poiché indica un consumo immediatamente precedente il prelievo, il che fa supporre che la persona non sappia controllare quando e quanto berrà, o che beva sempre, e quindi anche prima dell’esame.
Etil-glicuronide e Etilsolfato: a seconda della dose assunta si possono rilevare nelle urine per un tempo variabile da 6 a 100 ore dopo l’assunzione. Anche quando l’alcol non è più rilevabile nel sangue pertanto è possibile risalire ad un consumo recente (fino a 4 giorni prima), a seconda della quantità che si è bevuto.
Esteri etilici degli acidi grassi (FAEE): presenti nel sangue per 24 ore, ma fino a 100 ore se il consumo di alcol non è isolato ma è stato ripetuto recentemente.
Infine, a volte capita di dover stabilire la correlazione tra una condizione alcolica e un evento già successo (ad esempio un incidente). In questi casi è bene sapere che l’effetto dell’alcol così come riportato nelle tabelle, è soggetto al fenomeno della tolleranza, cioè dell’assuefazione nei bevitori abituali. La stessa quantità di alcol assunta con le bevande corrisponde a livelli diversi a seconda dello stato di assuefazione (tolleranza metabolica o cinetica); lo stesso livello di alcol nel sangue corrisponde ad effetti diversi a seconda dello stato di assuefazione (tolleranza dinamica); lo stesso effetto indotto dall’alcol può corrispondere a diversi stati di alterazione comportamentale a seconda del tipo di situazione (familiare o non).
In conclusione, è bene che chi deve essere sottoposto a esami per fini di patente di guida controlli che siano utilizzati parametri affidabili, possibilmente la Gamma-CDT o la CDT, ma non i parametri come Gamma-GT, transaminasi o MCV da sole o combinate tra di loro. E’ utile documentare le proprie condizioni di salute, comprese le terapie in corso al momento del prelievo. E’ importante accertarsi che le procedure di indagine comprendano un doppio esame (screening e conferma) e sapere che il risultato finale deriva dalla conferma, e non dallo screening.
Inoltre, il contesto di un accertamento può distinguere tra accertamento del consumo di alcol, occasionale o abituale, e modalità del consumo di alcol (controllato o non controllato).
In caso di contestazione, questi elementi devono essere controllati e argomentati eventualmente per vie legali e/o con consulenza di un medico di fiducia.
Gli esami delle urine sono utilizzati per ricercare una serie di sostanze che rientrano in categorie “non consentite” o comunque che è necessario rilevare per poter valutare idoneità o situazioni psichiatriche.
Comunemente sono ricercati:
- benzodiazepine (usate per lo più come tranquillanti o antiepilettici, ma non solo)
- barbiturici (utilizzati ormai poco, a volte non compaiono nella lista)
- amfetamine
- cocaina (per la precisione si cercano prodotti del metabolismo della cocaina)
- oppiacei morfinici (o semplicemente oppiacei, ma si intende i morfino-simili)
- metadone (oppiaceo anch’esso, ma strutturalmente diverso, è cercato a parte specialmente perché utilizzato come farmaco per la terapia della dipendenza da oppiacei, o assunto in autonomia da soggetti utilizzatori di sostanze di solito per scopi variabili, per lo più come anti-astinenza, talora utilizzato per via iniettiva come sostanza d’abuso)
- buprenorfina (idem come sopra)
- allucinogeni
Le altre sostanze non vengono comunemente ricercate. Tuttavia, vi possono essere i cosiddetti “falsi positivi”, cioè l’esame, specie se fatto con metodica meno specifica, può risultare “positivo” (cioè trovare qualcosa) perché alcune sostanza danno reazione positiva uguale a quella di altre. E’ bene quindi nel caso si sospetti questo procedere a ripetere l’esame il prima possibile e poi contestare il primo risultato. Falsi risultati possono dipendere da contaminanti esterni, o altri medicinali assunti, così come dall’alterata composizione del sangue e delle urine in corso di determinate malattie.
Su internet esistono siti che consigliano alcuni “trucchi” per far venire negative le urine e passare l’esame. Mi limito a dire che nella maggioranza dei casi questi trucchi producono risultati “impossibili”, cioè anche se il risultato è negativo, si capisce che il campione è stato alterato. Esistono alcuni controlli “interni” di qualità per capire subito se un campione è alterato in alcuni modi. Quando si voglia produrre un campione che abbia valore medico-legale, magari per contestarne un altro, è importante sapere che non valgono campioni auto-prodotti (esami fatti in autonomia) ma bisogna se mai produrne uno che sia certificato come autentico. Nella maggioranza dei casi, quando si ritenga di contestare qualcosa, è bene farlo subito, poiché le informazioni raccolte a distanza di tempo rischiano di non avere più senso rispetto a quel determinato accertamento.
DIRITTO SANITARIO E DANNO BIOLOGICO
Nel risarcimento dei danni subiti in seguito a vari tipi di eventi, il danno biologico è inteso come la menomazione che si è verificata, transitoria o permanente, per alterazione o interferenza con una funzione organica. Queste includono quella cerebrale, compresa quelle psichiche. Il danno biologico psichico è oggetto di valutazione nell’ambito di vari tipi di procedimenti. Solitamente, ma non sempre, si giunge ad una perizia disposta dal giudice, in rapporto alla quale la persona può nominare un proprio consulente di parte.
Il danno in questione va distinto da quello non patrimoniale di altro tipo (esistenziale, morale) e non è sempre semplice definire e distinguere ciò che differenzia un danno psichico da ciò che semplicemente consegue ad un evento spiacevole. E’ la stessa differenza che si fa nel distinguere, ad esempio, un lutto da un lutto complicato da depressione; oppure un lutto da una reazione depressive che non riguarda più il lutto stesso ma va oltre.
Lo psichiatra, in collaborazione con l’avvocato, può intervenire in diversi modi:
a) produrre una valutazione spontanea di parte
b) essere il consulente di parte nella perizia
c) essere consulente di parte in procedure di conciliazione senza il ricorso alla perizia
E’ possibile chiedere consulenza e assistenza nel caso in cui si sia stati sottoposti ad un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e si intenda contestare l’effettiva liceità e fondatezza di tale intervento, o il tipo di misure che sono state adottate nel contesto del trattamento stesso.
Il primo passo sarà valutare la documentazione del TSO. In collaborazione con l’avvocato, si potrà quindi decidere la linea da seguire, solitamente fino ad una perizia disposta dal giudice.
Per esperienza, le persone che intendono contestare TSO subiti sono concentrati più su elementi non decisivi, o su ciò che ritengono “evidente” a provare l’assurdità di quanto accaduto. E’ invece importante in questo caso concentrarsi innanzitutto sugli aspetti tecnici e procedurali, poiché essere “costretti” ad un trattamento psichiatrico è cosa prevista dalle legge entro determinati criteri, piuttosto “stretti”. Non è quindi in generale illecita, ma può esserlo se questi criteri non sono stati rispettati. Si precisa che d’altra parte, neanche il fatto di soffrire chiaramente di un disturbo psichico giustifica, di per sé, il ricorso al TSO, se non entro i criteri di legge.
Contenuto della Una persona che si rivolge al sistema sanitario, spontaneamente o in un programma indicato da un giudice come “misura alternativa”, ha diritto che le terapie praticate siano scelta tra quelle normalmente previste, o nel caso personalizzate quando è disponibile un’opzione specifica. In ogni caso, si può scegliere di essere tutelati quando si ritenga che il sistema non stia applicando o proponendo addirittura delle terapie indicate o sensate. Inoltre, si può ottenere che, al di là dell’arbitrarietà di questo o quel sanitario, siano applicate terapia normali, standard e che costituiscono l’alternativa migliore o più promettente.
In alcuni campi, specialmente quello delle dipendenze, spesso si assiste ad una ingiustificata e arbitraria negazione o omissione delle terapie efficaci, per cui i pazienti sono indirizzati verso opzioni di efficacia inferiore se non addirittura indefinita. In alcuni casi i contesti indicati come terapeutici hanno caratteristiche di paradossale aumento del rischio o anti-terapeutiche. Ne sono un esempio i contesti residenziali di cura in cui sia richiesto, per accedere, di non assumere determinate cure, invece essenziali e protettive, o di sospenderle prima di accedere.
Nel caso della cura delle dipendenze, in particolare quella da oppiacei, è bene assicurarsi che il trattamento sia stato proposto e applicato, prima di convincersi che non ha funzionato. Questo perché la situazione tipica sul nostro territorio è che il trattamento standard sia omesso, ritardato o eseguito con dosi inadeguate e senza un orientamento del paziente, che è lasciato all’autogestione oppure rimane convinto della sostanziale inutilità del trattamento in sé.
E’ consigliabile, anziché peregrinare tra soluzioni varie, farsi assistere da una equipe formata da un consulente tecnico espero in dipendenze e un avvocato, così da poter realizzare una terapia a volte semplice ma inutilmente evitata, oppure da trovare i contesti utili per poterla realizzare (ad esempio in una struttura residenziale anziché a domicilio).