Gli ansiolitici o tranquillanti (chimicamente benzodiazepine o similari) sono medicinali utilizzati per produrre effetti rapidi sull’ansia, il sonno, l’agitazione, e una varietà di sintomi “corporei” legati agli stati ansiosi e depressivi. Un loro uso improprio, dato l’effetto alcol-simile, è quello di produrre effetto inebriante o euforizzante. Nonostante l’uso previsto sia quello occasionale, o per periodi brevi, chi li assume spesso si ritrova a farlo per lunghi periodi, con due tipi di problemi.
Il primo è la difficoltà a staccarsi dal farmaco, sia per i sintomi da sospensione, tra cui un peggioramento dell’ansia che non tutti riescono a tollerare, sia per la convinzione, di solito illusoria, che l’ansia sia sotto controllo grazie all’uso regolare del farmaco, e che non sarebbe possibile dormire, o star calmi senza assumerlo. Questa forma è un legame “benigno” all’ansiolitico, che si risolve impostando una giusta cura per il disturbo di fondo, e provvedendo poi al distacco graduale dall’ansiolitico o sonnifero.
Un secondo problema è invece quello della dipendenza propriamente detta, che consiste nel “richiamo” all’uso del farmaco non tanto per un effetto terapeutico quanto per un impulso a prenderlo. Questa seconda forma comporta spesso un uso in dosi crescenti, con episodi di intossicazione per uso di dosi ripetute o massicce, e soprattutto una perdita di controllo sull’uso, cioè un consumo che parte con l’idea d produrre benessere ma che in realtà produce effetti tossici o degenera in una “abbuffata” di ansiolitico con effetti imprevedibili.
Le terapie su cui si possono trovare informazioni comprendono tecniche più o meno complesse per “scalare” l’ansiolitico a cui si è abituati e toglierlo, cosa che però non riesce facilmente quando si ha un disturbo d’ansia o una depressione non curata, e ancor peggio se si ha una dipendenza da benzodiazepine.
Nel secondo caso in particolare, la persona corre rischi maggiori, perché abusa di dosi irregolari, cosicché spesso capita di assumere dosi maggiori di quelle a cui è abituato, e anche di avere astinenze imprevedibili.
L’astinenza da tranquillanti è, oltre che fastidiosa, anche pericolosa, poiché possono verificarsi convulsioni, perdite di conoscenza e anche alterazioni psichiatriche maggiori.
Recentemente si sono accumulati dati sull’efficacia di un approccio alla dipendenza da ansiolitici, proprio nella sua forma di “abuso” ricorrente o persistente. Si tratta di impiegare una molecola (clonazepam) che produce nel cervello un segnale di “spegnimento” del desiderio, toccando lo stesso interruttore che toccano gli ansiolitici, ma con una modalità diversa, ossia in maniera tonica (lento aumento delle concentrazioni nel sangue e mantenimento di una concentrazione stabile). I recettori occupati dal farmaco non sono più ben disponibili per essere sollecitati dalla sostanza d’abuso, cosicché l’effetto dello psicofarmaco d’abuso è ostacolato o bloccato. Contemporaneamente, il desiderio di assumerlo è smorzato. Nel corso delle settimane, la persona perde desiderio e impulso nei confronti del farmaco di cui abusava, e ne riduce o ne abolisce il consumo. Non vi è rischio di astinenza, dato che il farmaco utilizzato per curare la dipendenza controbilancia l’eventuale sospensione brusca della sostanza stessa.
La cura si inizia senza bisogno di richiedere alla persona di interrompere il consumo della sostanza, e anzi parte del suo funzionamento utilizza proprio l’interferenza con il desiderio e l’impulso in corso nei confronti della sostanza ansiolitica.
Una volta ottenuto il risultato, è necessaria una fase di mantenimento. La sospensione durante i primi mesi della cura, infatti comporta un rischio significativo di ripresa dell’abuso di tranquillanti a distanza di qualche settimana. I primi studi sono stati compiuti su eroinomani che, nonostante la cessazione dell’uso di eroina, continuavano o passavano all’abuso di tranquillanti.
Più recentemente sono stati descritti risultati in soggetti abusatori di tranquillanti ma non di stupefacenti.
Il metodo consiste nell’introdurre il clonazepam, che esplica una triplice azione. Esso occupa i siti di azione del tranquillante, produce un’azione tale da impedire l’astinenza, ma (oltre una certa dose) impedisce anche al tranquillante di “toccare” i recettori stessi. La differenza sta nel modo in cui i recettori sono toccati dal clonazepam (lento e tonico) rispetto a quello con cui sono toccati dal tranquillante (veloce e a ondate). Nella fase di introduzione naturalmente il problema tecnico è trovare la dose efficace, che mediamente si colloca intorno ai 6 mg (valore a cui il clonazepam riesce anche a interferire con le dosi medio-alte di tranquillante abusato). La difficoltà relativa sta nel fatto che la persona resta, almeno per i primi tempi, legata all’idea che il tranquillante a cui era abituata o per cui ha desiderio sia “utile”, magari senza eccedere, o che serva per gestire l’ansia, mentre invece di fatto peggiora il controllo dell’ansia, cioè il comportamento che la persona ha quando è ansiosa, che diventa impulsivo e aggressivo.
Spesso l’operazione di inizio richiede un breve ricovero, perché chi abusa di alte dosi di tranquillanti di solito ha problemi sia di memoria che di gestione dei medicinali.
Una volta ottenuto il risultato, ovvero il controllo dell’impulso ad abusare di ansiolitico, la cura prosegue, perché il controllo non significa guarigione biologica. Così come nelle altre dipendenze, il desiderio deve esser mantenuto spento a lungo perché il cervello possa poi restare stabile senza ricadute. La fase di mantenimento è quindi il momento in cui la persona, senza il desiderio che lo costringe ad abusare, e senza lo stato di intossicazione, può tornare a funzionare normalmente.
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