In primo luogo, bulimia e anoressia non costituiscono due entità separate, essendo in parte due fasi di una stessa storia di disturbo alimentare, anoressia-bulimia o sovrappeso-anoressia-bulimia. La bulimia stessa fu definita dall’autore Russell una variante complicata dell’anoressia. Entrambe condividono la preoccupazione per il controllo sul cibo e per il peso e la forma fisica, con situazioni opposte ma spesso alterne o coesistenti (capacità di mantenere digiuno o di aumentare la dispersione calorica per sostenere la magrezza oppure abbuffate). La stessa bulimia, in uno dei due sottotipi (con o senza condotte di eliminazione) condivide appunto con l’anoressia le condotte di eliminazione (modi di neutralizzare il cibo o il suo equivalente calorico che comprendono vomito, purghe, o metodi non pertinenti ma ritenuti utili a perder comunque peso come l’uso di diuretici, l’esercizio fisico prolungato).
Il termine anoressia è stato però impiegato con altri significati, e come termine significa in sé semplicemente “assenza di appetito” o “riduzione del consumo di cibo fino al digiuno completo” senza specificare i motivi eventuali. Quando una persona non mangia o si rifiuta di mangiare quindi tecnicamente il sintomo si può indicare come “anoressia” ma non necessariamente questo ha a che vedere con l’anoressia nervosa descritta sopra. In effetti “l’anoressia isterica” descritta da Lasegue nel 1873 era ciò che oggi si definirebbe come “disturbo somatoforme” o “disturbo di panico” o corrisponde ad un episodio depressivo con sintomi ansiosi. La persona, che era tipicamente una donna “prova innanzitutto un disturbo dopo aver mangiato / / né lei, né chi assiste vi attribuisce alcun disagio duraturo / / l’indomani la stessa sensazione di ripete / / e la malata si convince che il miglior rimedio a questo disturbo indefinito consiste nel diminuire l’alimentazione”; “riduce gradatamente il cibo talvolta con il pretesto del mal di testa, talvolta con il timore che si presentino le impressioni dolorose che seguono dopo il pasto // dopo qualche settimana non si tratta più di ripugnanze da ritenersi passeggere: è un rifiuto dell’alimentazione che si prolungherà indefinitamente // la malattia è conclamata e seguirà il suo decorso così fatalmente //”).
Questa descrizione corrisponde tutt’oggi perfettamente ai quadri di disturbo somatoforme altrimenti denominati “sindrome dell’intestino irritabile” o di ipocondria, o ancora forme più gravi di delirio corporeo. In particolare vi sono forme che associano, come in vari casi di colon irritabile, l’idea di avere qualcosa “alla digestione” e un rapporto ansioso con il cibo che comporta una selezione di cibi ritenuti “sicuri” e l’esclusione di altri che di volta in volta sono ritenuti responsabili dei disturbi. La persona è in genere convinta in vario grado che i proprio disturbi dipendano dal cibo o comunque dalla reazione al cibo, e che quindi la soluzione debba essere alimentare. Spesso la conseguenza è un dimagrimento più o meno rapido, con un atteggiamento di rifiuto di critiche o di suggerimenti sul fatto che possa trattarsi di un problema psichiatrico. L’attenzione è concentrata sul corpo. L’interpretazione sulla natura “isterica” riteneva questo un atteggiamento dietro cui si doveva cercare un conflitto, una rabbia repressa, un dolore non elaborato. Più semplicemente si potrebbe dire che solitamente le persone con queste forme morbose hanno un carattere che è già prima improntato al controllo, alla ricerca di equilibrio o al timore di non averlo, e all’attenzione ai segnali ambientali e corporei con la tendenza a produrre delle proprie convinzioni a cui la persona si affeziona, ritenendole utili o comunque non criticabili.
Le diagnosi formali di questi “dimagrimenti” da ridotta alimentazione comprendono anche forme depressive, o fasi preliminari di depressioni classiche. Nelle fasi avanzate la persona può iniziare a sviluppare un vero e proprio delirio corporeo che la porta a convinzioni erronee sul funzinoamento dei propri organi, e a vere e proprie allucinazioni sul peso, la posizione, i movimenti e lo stato dei propri organi e tessuti (addome enorme, intestino fermo, stomaco stretto, intestino bloccato o chiuso, colite, mucose ipersensibili, bolle d’aria che si spostano o si bloccano etc.). Da semplici sensazioni o impressioni corporee, nelle forme gravi si passa quindi al delirio, cioè la convinzione assoluta e autodeterminata.
Manca in questa sindrome la preoccupazione per l’adeguatezza dell’aspetto fisico e lo sforzo per dimagrire. Se mai, è vero che la persona concentrata sulle proprie funzioni corporee diviene gradualmente meno spontanea e interessata ai rapporti sociali, anche perché i momenti del pasto o delle bevute sono da evitare o sono vissuti con disagio, e poco interessata all’aspetto piacevole della vita, specialmente quando l’umore è depresso. Non si tratta quindi di anoressie da preoccupazione per il tema della magrezza, se mai per il tema della pericolosità del cibo o della delicatezza del sistema digerente.
Quando Lasegue parlava di “decorso fatale” non intendeva che fosse letale, piuttosto che se la condizione durava un certo tempo poi tendeva ad aggravarsi nella sua componente mentale, di cui i sintomi intestinali e alimentare erano parte integrante, non essendo condizioni intestinali ma dichiarazioni o percezioni o timori, o infine convinzioni riguardanti il corpo.
La maggioranza di queste situazioni, specie quelle di colon irritabile doloroso, di ipocondria e di disturbo di panico sono curabili senza troppe difficoltà. Più difficile è l’intervento in una fase depressiva con un’idea delirante o su un disturbo somatoforme di lunga data, dove la persona “difende” le proprie abitudini alimentari, abituata da anni a rifiutare critiche o proposte alternative e sempre più convinta della giustezza delle proprie convinzioni sulle proprie particolari funzioni corporee.
Si vedano quindi a proposito di queste forme di anoressie non legate alla preoccupazione per la bellezza o l’adeguatezza fisica i testi nella sezione dei disturbi d’ansia o somatoformi o della depressione.
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