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Published by cavalieriusb on 31 Maggio 2011
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Le benzodiazepine (bdz), o tranquillanti minori, sono farmaci indicati nel trattamento a breve termine dell’ansia, dell’insonnia. Hanno anche altri usi, come rilassanti muscolari e antiepilettici.

Il loro principale limite in psichiatria è rappresentato dal legame che le persone sviluppano con questi farmaci, per due ragioni: il loro pronto effetto sui sintomi, e per alcune bdz la capacità di indurre abuso/tossicomania.

L’uso prolungato delle Bdz induce assuefazione, cioè scomparsa degli effetti e suscettibilità a sviluppare, in caso di brusca sospensione, una temporanea sindrome con sintomi “opposti” agli effetti delle bdz. La sindrome da sospensione da bdz, a seconda delle dosi e della potenza, può produrre alterazioni mentali gravi, al di là dell’ansia, con sintomi psicotici quali deliri, allucinazioni e disorientamento spazio-temporale. Per il rischio di crisi epilettiche maggiori, la sindrome da sospensione da bdz, così come quella da alcol a cui è chimicamente sovrapponibile, può essere letale.

In teoria le bdz non dovrebbero essere assunte per lunghi periodi. In pratica, i pazienti ansiosi spesso vi si assuefanno proprio perché le assumono regolarmente, confidando nell’iniziale buon effetto sull’ansia. Il legame è mantenuto psicologicamente anche quando l’effetto non c’è più, perché si sviluppa un meccanismo ciclico per cui l’ansia cresce dopo ore dall’ultima assunzione, e assumendo la dose successiva l’ansia prontamente ritorna normale. Questi fenomeni, di micro-astinenza, sono semplicemente una cucitura non precisa tra due dosi successive, ma mantengono l’idea che il farmaco serva ancora a controllare l’ansia, specialmente in caso di assunzione serale. Inoltre, il cervello tende a ricordare in maniera fin troppo chiara l’effetto rapido iniziale, cosicché anche quando l’effetto non c’è più il primo pensiero in caso di ansia sarà quello di assumere una bdz. Persone che hanno provato con successo altre e più efficaci terapie per l’ansia, quando hanno le ricadute non tornano a prendere i farmaci in questione, ma rimettono mano alle bdz.

In caso di sospensione o di microastinenze ricorrenti, anche più volte il giorno, vi sono sintomi caratteristici, anche se sfumati: alternanza di torpore e nervosismo/agitazione, aggressività, stato di allarme, accentuazione della percezione sensoriale con effetto sgradevole (luci accecanti, colori troppo vivi o “liquidi”, necessità di indossare occhiali da sole, suoni troppo violenti, ipersensibilità al tatto, intolleranza al dolore). L’assunzione prolungata di bdz ad effetto rapido determina una situazione di “su e giù” degli effetti, con ansia di fine dose (la già citata microastinenza) e una serie di effetti collaterali da intossicazione cronica: disturbi della memoria, dell’equilibrio, rallentamento dei riflessi, debolezza muscolare e minore resistenza agli sforzi, dolori muscolari anche a riposo, irritabilità e impulsività (scoppi d’ira, atti violenti, condotte distruttive).

Non vi è attualmente indicazione a proseguire a lungo termine la terapia con bdz, salvo che in qualche caso resistente. La tossicomania da bdz può essere trattata con clonazepam in regime iniziale di mantenimento, il che è l’unica indicazione sistematica per una bdz (clonazepam) a lungo termine, secondo lo stesso principio del metadone rispetto all’eroina (non sostitutivo ma normalizzante il sistema neurochimico e il comportamento tossicomanico sviluppato intorno ad esso).

L’uso di più bdz insieme non ha in genere molto senso. Se si tratta di bdz a breve durata d’azione è equivalente ripetere l’assunzione della stessa, mentre se si tratta di bdz a diversa durata d’azione, finisce che più di una bdz circola nell’organismo, mentre l’interruttore su cui agiscono è lo stesso, e quindi o funziona una, funnziona l’altra. In genere funziona quella più affine e più concentrata.

L’abuso e dipendenza da bdz è stata ampiamente studiata. I soggetti abusatori in genere ricorrono a dosi largamente superiori a quelle iniziali (a differenza degli ansiosi semplici che continuano ad assumere le dosi iniziali o poco più). In genere chi abusa di gdz ha avuto, o ha contemporaneamente anche la tendenza ad abusare di altre sostanze o alcol (8 su 10).

Il rischio di diventare dipendenti nel senso di tossicodipendenti è legato a diversi fattori:

a) la durata e l’entità delle dosi assunte

b) il tipo di bdz

c) la predisposizione agli effetti euforizzanti

Bdz chimicamente simili possono avere un potenziale di dipendenza molto diverso. Questo non dipende dalla potenza, né dalla durata dell’effetto, quanto dalla rapidità dell’effetto, specialmente se combinata con una potenza medio-elevata. Le preparazioni “a rilascio rapido” sono quindi quelle che creano il legame più rischioso in questo senso.

Il tossicomane da bdz ha gli stessi comportamenti di un tossicomane da altra sostanza: fa abbuffate di bdz, non riesce a ridurle, nega gli aspetti negativi dell’uso (intossicazione cronica) o li minimizza attribuendoli ad altra causa; cerca di procurarsi la sostanza con bugie, falsificazione di ricette, accordi “sottobanco” con medici e farmacisti compiacenti, o semplicemente insiste e talora minaccia i sanitari per avere prescrizioni o quantità di farmaci. Tipicamente, non accetta un’altra bdz in sostituzione, anche se dura più a lungo ed è più potente, e continua ad utilizzare quella a cui è legato anche quando si somministra una dose di altra bdz tale da evitare l’astinenza e da impedire l’azione di altre bdz in contemporanea.

Nell’ambiente dei tossicodipendenti alcune benzodiazepine, e non altre, circolano sul mercato nero, e sono conosciute come “psicofarmaci”, perché tra le varie droghe sono quelle vendute ufficialmente come tali.

Alcuni prodotti sono stati ritirati dal commercio (flunitrazepam) perché molto utilizzati come sostanze d’abuso, addirittura come droghe da somministrare all’insaputa a vittime da rapinare o stuprare. Altre molecole sono attualmente incluse in tabelle speciali, che prevedono ricette non ripetibili e dalla validità limitata così da scoraggiare la prescrizione ripetuta senza che il paziente sia rivalutato prima, e un uso senza termine da parte di pazienti che non si recano pià dal medico.

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