I dati sul trattamento dei disturbi da cocaina non sono molti, per due ragioni. Quando si studia un trattamento per la depressione, i casi “da cocaina” o “con cocaina” sono di regola esclusi, a meno che non si facciano studi solo su questo sottotipo di depressione.
Le persone che hanno problemi di cocaina tendono a non seguire con regolarità il trattamento. E’ quindi difficile accumulare una casistica numerosa, che consenta di trarre conclusioni statistiche.
Andrebbe intanto precisata una cosa. Le terapie per la dipendenza e per l’abuso possono essere diverse. Si tratta di due situazioni diverse, e cioè: l’abuso è una situazione di perdita di controllo sulle quantità, la frequenza e le modalità d’uso, con conseguenze negative, che però rimane legata ad alcuni fattori. Uno di questi fattori, il più banale, è che la persona ha ancora piacere dalla cocaina, anche se in parte ne ricava dei danni. Un altro fattore è che l’euforia stessa, già prima dell’uso, spinga la persona a far uso di cocaina, mentre a umore più equilibrato questo non avviene.
L’abuso si può quindi affrontare controllando i fattori che spingono verso l’uso di cocaina, o aumentando la consapevolezza degli effetti negativi. Di solito il tutto ruota intorno al tono umorale, e alla sua stabilità. Più sbalzi ci sono, e più il tono generale è euforico, minore è il freno e maggiore è l’impulsività.
Per quanto riguarda la dipendenza, sono numerose le terapie studiate. Spesso sugli stessi trattamenti sono stati ottenuti risultati una volta favorevoli, una volta non favorevoli. Farmacologicamente, l’approccio ha cercato di riprodurre quel che si ottiene nelle altre dipendenze:
a) farmaci che producono nel cervello un segnale chimico che “spegne” la volta di fare cocaina, senza che per questo il farmaco stesso sia oggetto di abuso, e senza che produca degli effetti tossici. Rientrano in questo filone tutti i farmaci “a dopamina”, disponibili già come antidepressivi, o anti-parkison, o con altri usi (bupropione, bromocriptina, pramipexolo, ropinirolo, etc). Tuttavia non sempre è possibile usarli, se l’impulsività aumenta, o perché il segnale prodotto non è sufficientemente forte e stabile da tenere spento il desiderio di cocaina. Tenere stimolato il sistema della dopamina, infatti, a differenza di quanto accade con altri sistemi di neurotrasmettitori, può corrispondere ad una condizione in cui gli effetti collaterali non sono proponibili.
b) i farmaci che interferiscono con gli effetti piacevoli della cocaina, aumentando gli aspetti sgradevoli o riducendo quelli gradevoli, o entrambe le cose. Rientrano in questa categoria il naltrexone, in parte anche alcuni dopaminici particolari (ropinirolo, aripiprazolo), alcuni stabilizzatori dell’umore. Un caso particolare è il disulfiram, usato con la stessa funzione anche nella dipendenza da alcol: in questo caso però la persona non può consumare alcolici. Un tentativo è stato fatto anche con un “vaccino” anti-cocaina, che impediva cioè alla cocaina di raggiungere il cervello, senza direttamente agire da subito sul desiderio.
c) i farmaci che modulano l’euforia, sia prima che durante l’assunzione di cocaina. Rientrano in questa categoria tutti i farmaci anti-maniacali, tra i quali però sono proponibili quelli che non esasperano il desiderio (in questo caso l’effetto è nullo o peggiorativo).
d) farmaci che bloccano selettivamente il comportamento di ricerca della cocaina, senza agire sull’effetto, né sul desiderio consapevole. Nelle dipendenze infatti il comportamento di ricerca parte in maniera indipendente dal desiderio, e “sostituisce” il normale desiderio, nel senso che si ha voglia di fare la cocaina piuttosto che non voglia della cocaina come effetto. Un esempio di questo possono essere i farmaci al punto c o anche il biperidene.
Gestione del trattamento
In conclusione, i passaggi importanti nel trattamento di un disturbo da uso di cocaina sono.
1 – diagnosticare il tipo di disturbo, distinguendo la dipendenza dall’abuso o altre situazioni
2 – quantificare la gravità e decidere per una terapia domiciliare o un primo periodo di ricovero, dovuto soprattutto alla previsione che la persona possa gestire una terapia oppure non sia verosimile all’inizio
3 – provare una delle terapie possibili. In questo caso l’assunzione di un medicinale va affiancata ad una informazione, anche estesa ai familiari, che spieghi il senso, la tempistica e che ritorni su questi concetti ogni volta che serve (ad esempio durante le prime ricadute). E’ importante che, al di là della cura che può rimanere uguale per settimane, sia spiegato alla persona e alla famiglia che non si deve partire con l’idea di un “giorno zero” in cui la persona si comincerà a sforzare di smettere, e poi capire perché ricade. Piuttosto, si deve partire da un “giorno zero” della cura e gestire le ricadute cercando di portarle a estinzione. Questo non dipende dalla volontà della persona, ma dalla cura. L’efficacia della cura è un fattore indipendente, e ovviamente non dipende né dal medico, né dal paziente. Tuttavia, uno dei fattori che può far fallire le cure, anche se efficaci, è quando sono interrotte troppo presto, e quando le ricadute sono vissute in maniera agitata, drammatica e producono cambiamenti continui di scelte, opinioni e rapporti con chi è vicino.
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