Michael Hebranko è un soggetto che soffre di obesità primaria, da iperalimentazione. Ed è nel Guinness dei primati, ma non per aver raggiunto i 500 Kg di peso (nel 1999), ma per il record di dimagrimento, che lo ha portatodai 411 Kg a 90 Kg in 19 mesi, con un calo di circa 320 Kg.
Il record di Hebranko è anche maggiore, ma forse qui il record non è suo. In totale, nella sua vita ha perso con le diete oltre due tonnellate, per la precisione 2250 Kg.
Al tempo del dimagrimento record Hebranko divenne una star del mercato delle diete, tenne conferenze sulla sua esperienza e pubblicizzò il metodo che aveva seguito con il suo allenatore personale. Divenne anche diet-advocate, cioè un volontario che si occupa di orientare e sostenere le persone obese che hanno intenzione di perdere peso. In 7 anni dai 90 Kg raggiunti salì gradualmente a 453 Kg, una condizione ad alto rischio che lo costrinse a cure e ricoveri.
Attualmente pesa 250 Kg.
Hebranko è l’esempio del modo in cui attualmente sia (mal) concepito il trattamento dell’obesità e della dipendenza da cibo, cioè quel fenomeno che conduce ad una alimentazione eccessiva in termini di capacità di smaltimento, per un’alterazione dell’istinto a mangiare, nonostante la consapevolezza delle conseguenze, il desiderio di cambiare il proprio aspetto fisico e anche la consapevolezza della possibilità di riuscirvi. Hebranko raggiunte il suo massimo peso infatti alla ricaduta, dopo il record di dimagrimento. I dimagrimenti vari quindi non hanno portato, se non al completo controllo, almeno ad un peso “intermedio”, di compromesso. In altre parole attraverso le varie diete il peso non si è assestato su valori un po’ più bassi, ma il contrario. Il calo di peso, paradossalmente, è avvenuto in 19 mesi, quindi con una certa rapidità (16 Kg al mese), mentre il successivo aumento di peso fino ai 453 Kg è avvenuto con maggiore lentezza (in 7 anni, ovvero poco più di 4 Kg al mese). Il controllo sulla ricaduta, anche se questa avviene con gradualità, è quindi alla fine minore: la ripresa di peso è lenta ma non per questo si riesce ad arrestare con più facilita. La persona obesa mantiene la capacità di dimagrire, anche con un ritmo rapido, ma non recupera la capacità di prevenire il riaumento di peso. Questo naturalmente nel corso degli anni, per cui per un certo periodo il risultato ottenuto è godibile, ma non per sempre. Ciò che è peggio, è che nel tempo la “tenuta” del peso raggiunto coi dimagrimenti è minore, e che anche la capacità di dimagrimento è minore, per il subentrare di sfiducia, e di consapevolezza della relativa inutilità, a lungo termine, del dimagrimento. Eppure, una caratteristica della dipendenza da cibo è proprio quella di cercare continuamente soluzioni dimagranti, e di guardare in quel senso per trovare una soluzione.
Come in tutte le dipendenze, l’errore sta nel privilegiare l’inizio della cura, e l’immediatezza di un risultato sull’effetto “tossico” (in questo caso il sovrappeso) piuttosto che studiare e verificare la possibilità di raggiungere un nuovo equilibrio, ovvero un dimagrimento spontaneo e comunque da confermarsi a lungo termine. La dieta “di mantenimento” è in realtà una fase ideale, che male si concilia con la natura della malattia, poiché il cervello obeso non funziona in maniera uguale e prova quindi appetiti più consistenti e urgenti, di fronte a cui il cervello non riesce a opporre alcuna particolare funzione.
Mentre infatti il cervello è predisposto per acquisire cibo, e spremere dal cibo le calorie, non è predisposto per non avere appetito, e per non assorbire le calorie introdotte.
Ad oggi esistono per la cura dell’obesità importanti soluzioni chirurgiche, che consentono di ottenere dimagrimenti parziali o completi e comunque di garantire un nuovo equilibrio a livelli di peso diversi. Il limite attualmente sta nel fatto che gli interventi sono indicati sopra un certo peso, ma per pesi molto elevati diventano sconsigliabili per un rischio operatorio non accettabile. I risultati migliori sono quindi quelli ottenuti sui soggetti obesi giovani, che sono invece purtroppo impegnati spesso e volentieri in prove di dimagrimento in cui investono speranze, aspettative e autostima. Tutto ciò subisce una gratificazione anche sorprendente nell’immediato ed è invece demolito durante e dopo la ricaduta.
E’ importante che queste persone siano indirizzate alla conoscenza dei meccanismi del loro disturbo, per il quale ad oggi esistono alcune terapie chirurgiche e alcune mediche, che tuttavia sono più utili per migliorare alcuni parametri metabolici che non per tenere il peso a livelli molto più bassi, cioè di normalità.
Il rischio di passaggio ad una obesità dovrebbe poi essere valutato nei soggetti giovani che iniziano a manifestare problemi di anoressia e bulimia, o anche di chi si cimenta con diete per rimanere magro o più magro, per motivi estetici, poiché è dimostrato che il sottoporsi ad una dieta oggi produce un peso minore domani e un peso maggiore dopodomani (rispetto a chi invece non ha fatto diete). Nel tempo quindi la pratica delle diete fatte non per motivi medici ma per motivi psicologici produce un peggioramento del rapporto con l’alimentazione, con se stessi in relazione all’alimentazione e al peso, e spesso un peggioramento del controlloo stesso del peso. Chi si sposta sul versante della bulimia segue l’andamento a yo-yo con progressivo aumento di peso, chi si sposta verso il controllo del peso sviluppa anoressia, anoressia-bulimia o altri quadri analoghi in cui il peso è mantenuto a prezzo di comportamenti tossici e rischiosi di privazione, abuso di medicinali e risentimento psichico.
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