Il gambling o gioco d’azzardo patologico è una delle dipendenze comportamentali più consolidate. Per comportamentali si intende che non si sviluppa tramite una sostanza chimica, eppure il termine confonde. Infatti tutte le dipendenze sono comportamentali, nessuna è “chimica” nel senso che consiste in un rapporto chimico con la sostanza da cui non ci si riesce a svincolare. Tutte sono invece chimiche nel senso che il cervello è chimico, il comportamento è chimico, e quindi anche laddove la dipendenza si sviluppa su una situazione (come il gioco) si tratta comunque di un fenomeno chimico.
I sintomi delle dipendenze sono quindi esattamente gli stessi, l’atteggiamento del giocatore rispetto al giocare e quello del tossicodipendente rispetto alla sostanza a cui fa riferimento sono uguali. Eppure la dipendenza non è essere legati “dalla” sostanza o “dal” gioco, ma essere legati “alla” sostanza e al gioco, perché la dipendenza è qualcosa che inizia e finisce nel cervello della persona, che richiama a se lo stimolo esterno, gioco o sostanza. Non è il contrario, cioè il pericolo sta dentro e non fuori la persona, per cui la ricaduta origina dal cervello, e non dalla situazione o dalla sostanza che da fuori la provoca.
I sintomi della dipendenza e i suoi meccanismi li conoscono bene coloro che da questo traggono profitto. Gli spacciatori, gli allibratori e gli strozzini. Se fossero medici, riuscirebbero probabilmente a gestire le cure in maniera brillante, perché non hanno dubbi su quali sono i meccanismi che contano nella dipendenza, sostanzialmente uno: la voglia di gratificazione (la vincita o l’orgasmo della droga).
Dal libro di Joe Pistone, infiltrato nelle famiglie mafiose di New York, si legge una bella descrizione della psicologia dei “malati di gioco” che la mafia coltivava come fonte di arricchimento.
“Come mai gli scommettitori legali non hanno sbattuto la mafia fuori dal giro delle scommesse ? La ragione (…) ha a che fare con la mentalità degli scommettitori (…) Sulle vincite devi pagare le tasse (…). Dovete capire, questi sono giocatori patologici, nella loro mente distorta e alterata si immaginano sempre di fare il colpo grosso con la prossima mano, con la prossima partita su cui punteranno. E nessuno vuole pagare le tasse sul colpo grosso. Cioè sono certi che al prossimo giro vinceranno, e vinceranno un casino, anche se sono dieci puntate che non ne azzeccano una; soprattutto se sono dieci puntate che non ne azzeccano una. “I giocatori sanno benissimo con chi hanno a che fare (cioè i mafiosi e gli strozzini) e gli va benissimo assumersi il rischio. Che preferiscano rischiare di essere malmenati piuttosto che dover pagare le tasse su un’ipotetica vincita è un altro sempio della psicologia deviata del giocatore incallito. (…)”.
In breve, le alterazioni psicologiche del dipendente: il dipendente “crede” nella bontà dell’oggetto che consuma, anche se ne ricava un danno. Lo gestisce, lo protegge e lo “nutre” come se fosse il massimo bene. Se ne ha tratto solo danno, allora significa che il bene verrà poi. Verrà perché all’inizio c’era stato (l’effetto della droga, una vincita iniziale). Così il dipendente da gioco non vuole pagare le tasse sulla vincita, e ricorre al gioco illegale non tanto perché gli scoccia pagare questa tassa su una ipotetica vicinta, ma perché sa che farà il “colpo grosso”, e le tasse sulla vincita quindi sono una bella somma. Ragiona, in poche parole, come avendo la certezza che una vincita ci sarà.
Il fatto che le puntate vadano male, visto che una vincita ci deve essere, solo il segno che la puntata vincente sarà la prossima (e non come è logico pensare, che puntando non si vince, ma si perde). Quindi più perde, più pensa che vincerà, in un meccanismo contro-logico. Solo il legame “malato” all’idea di vincita può far pensare al gioco come a qualcosa in cui si vince. Il giocatore non patologico gioca ogni tanto, perché sa che se giocasse spesso non avrebbe senso, perderebbe. Il giocatore patologico, se potesse, giocherebbe invece sempre, tanto e su tutto. Se avesse infiniti soldi, punterebbe tutti i soldi su tutto, e perderebbe quindi tutto.
Passiamo infatti a un brano successivo:
“In realtà i mafiosi non vogliono uccidere la gallina dalle uova d’oro. Vogliono che i giocatori siano felici e pieni di soldi, in modo che continuino a giocare, perdere e pagare”.
Quindi chi sfrutta il giocatore patologico ha capito esattamente che costui non farà danni quando è senza soldi, farà danni quando ha soldi. Per questo glieli presta, per rifornirlo dello strumento con cui aumenterà il suo debito. Naturalmente questo a intermittenza, in maniera che per ogni rifornimento la persona riprenda a far debiti. Un giocatore povero non gioca, un giocatore ricco si impoverisce giocando. Il comportamento del dipendente non è problematico tanto quando non ha la droga, o non ha di che giocare; il problema inizia e scoppia quando ha disponibilità di droga, o di denaro da giocare. Non è raro che le prime vincite siano addirittura “pilotate” o favorite, come accade nei giochi illegali da strada, quello delle tre carte, in cui nel piccolo il truffatore fa vincere il “pollo” per poi indurlo a giocare ancora, e fargli perdere molto di più.
A facilitare le ricadute sta il fatto che, in chi è dipendente, la vincita può essere minima, o modesta, ma comunque motiva la ripetizione del gioco e fa sentire più vicino il colpo grosso, dà l’idea che “stia arrivando”, come se esistesse una magica “zona” di vincita a cui si ci avvicina più o meno casualmente, e che va sfruttata fino in fondo. Una vincita parziale che potrebbe ripianare subito parte di un debito motiva quindi la ripetizione del gioco in maniera compulsiva e fa maturare perdite enormi.
I trattamenti del gioco d’azzardo sono al momento studiati, anche se solo con risultati iniziali. E’ comunque una malattia curabile secondo i principi generali delle dipendenze, che interferiscono con la gratificazione, l’innesco dell’impulso a giocare e con lo stato mentale “maniacale” del giocatore, irrealisticamente ottimista e convinto di poter controllare l’esito della scommessa.