A cosa sono dovuti gli attacchi di panico ?
Non esiste una ragione psicologica specifica conosciuta, incluse quelle “nascoste” che, in quanto “nascoste”, nessuno può stabilire se abbiano senso. Molte persone nel tempo si demoralizzano per i limiti causati dal panico, e si convincono di avere problemi più o comeno complessi e particolari con varie situazioni, o in generale di essere “paurose”. Il panico è un disturbo in cui si sviluppa una reazione d’allarme, per un meccanismo che utilizza il sistema d’allarme naturale del cervello, collegato a tutto l’organismo, ma lo fa scattare troppo spesso e “a vuoto”.
Perché si soffre di panico anche se non si hanno problemi particolari nella vita ?
Il panico è per definizione “senza motivo”. Non ha un oggetto preciso. Paura di svenire, morire, soffocare, non respirare, perdere il controllo di sé e la coscienza, “scoppiare”, varie sono le sensazioni o le idee associate ad un attacco di panico, ma fanno riferimento o ai sintomi dell’attacco (ad esempio senso di soffocamente, senso di svenimento) oppure in generale sono paure generiche di non avere più il controllo come quando si ha un malore acuto. Le vicende di vita non sono determinanti in senso assoluto, mentre invece lo sono spesso i cambiamenti di ambiente: quando le persone cambiano sede, casa, si spostano lontano dal luogo di origine, per motivi di studio, familiari o lavorativi possono sviluppare attacchi di panico. Questo accade anche se il cambiamento è positivo e l’adattamento è stato buono.
Come si fa a stabilire se determinati sintomi sono “solo panico” o c’è qualcosa che non va fisicamente ?
Questa è una domanda sbagliata. Il panico ha origine cerebrale, ed è quindi “fisico”. Il panico ha i suoi sintomi precisi, quelli della paura e delle reazioni di adattamento alla paura, oltre che le modalità con cui si riferiscono, si rievocano e si temono i sintomi. La diagnosi per esclusione è comune, ma non è il modo più corretto. La diagnosi di panico è basata sui sintomi del panico e poi sull’esclusione di eventuali altre ipotesi che possono venire in mente in base ai sintomi.
Come si fa a controllare l’attacco ?
L’attacco sostanzialmente si controlla da solo, nel senso che dopo un po’ cessa. Molte persone sono convinte di riuscire a controllare gli attacchi sulla base del fatto che a volte adottano determinati metodi e non hanno un attacco, ma sono tipicamente metodi che a volte sembrano funzionare, altre no. Di certo chiunque abbia avuto attacchi forti non è riuscito, durante l’attacco, a trovare un modo per farlo smettere o per attenuarlo. Naturalmente aspettando gli attacchi passano, ma durano quanto basta per suscitare nella persona il timore che non finiscano più, o che facciano morire, o che facciano impazzire. Le paure più diffuse sono che, anche se è panico, l’attacco possa affaticare e stressare il cuore, i polmoni e il cervello fino a causare davvero un infarto, un soffocamento etc. Quanto l’attacco è più forte, tanto più queste paure sono incontrollabili. La forza dell’attacco si misura proprio in termini di forza della paura. Quando le persone sono in cura per il panico, specialmente nei primi tempi, può capitare che abbiano qualche crisi con gli stessi sintomi di prima, ma senza la paura, e infatti le riferiscono con un certo distacco, come se fossero fenomeni diversi, panico “senza panico”. Esistono tecniche per gestire la paura di avere l’attacco, e il dopo-attacco. Per quanto riguarda la prevenzione dell’attacco, esistono cure specifiche e non complesse.
L’ansiolitico a cosa serve ?
L’ansiolitico serve ad eliminare la paura di poter avere il panico. Quando una persona assume l’ansiolitico per controllare il cuore, o il respiro, in realtà sta sostanzialmente riducendo la paura legata a quel sintomo, o all’attenzione per quella parte del corpo. Molti attacchi avvengono con una sensazione di cuore in gola, battito accelerato ma poi il battito è sostanzialmente normale, e soprattutto simile a quello che si ha quando si fa una corsa, uno sforzo, o si ha una qualsiasi emozione. Tutte situazioni che non corrispondono al panico, ma hanno parametri corporei molto simili: manca la paura, l’allarme. L’ansiolitico serve a molte persone per liberarsi dalla paura di poter avere l’attacco, e quindi per uscire di casa, andare al lavoro, fare viaggi, spostamenti, prendere aerei, treni, funivie etc.
Purtroppo spesso l’ansiolitico è lasciato in mano al paziente, che di solito finisce per usarlo spesso o regolarmente, rimanendo convinto che abbia un’azione di prevenzione o di controllo dell’attacco, e disabituandosi a controllare l’ansia che non sfocerà in panico. Si sviluppa così una dipendenza dall’ansiolitico in cui erroneamente la persona è convinta di non avere il panico perché assume l’ansiolitico, o perché l’ha assunto poco prima, e lo assume senza capire più quando e a che punto i sintomi possono precedere il panico, semplicemente per tenere a bada la paura di avere un attacco.
Gli attacchi di panico non finiscono da soli ?
Spesso sì. Il problema è che finiscono spesso in maniera patologica, cioè con lo svilupparsi di un limite. Cominciare ad evitare una serie di situazioni è un modo spontaneo per evitare gli attacchi. Molti ad esempio rinunciano a prospettive di lavoro o di svago o semplicemente alla libertà di potersi spostare dovunque da soli, perché la paura di poter avere il panico non li abbandona mai. Alcune persone nella loro vita si organizzano in modo che poi non hanno quasi mai necessità di esporsi a situazioni temute, altre devono dipendere da qualcuno che li accompagni in ogni luogo, non guidano, non rimangono da soli in luoghi che non conoscono, non prendono mezzi per lunghi spostamenti.
Una parte di persone inizia ad abusare di tranquillanti o di alcol, le due sostanze più comunemente diffuse tra i soggetti ansiosi. L’uso di alcol è ad esempio comune tra persone che debbano spostarsi per lavoro e che così tentano di controllare la paura del panico.
Quand’è che il disturbo di panico andrebbe curato ?
Molte persone hanno avuto nella vita attacchi di panico isolati, o per brevi periodi e senza conseguenze sui loro comportamenti. Attacchi di panico non significa quindi automaticamente “disturbo di panico”, perché ci sia un disturbo di panico, che quindi può essere curato come tale, è necessario che gli attacchi siano frequenti o che abbiano condizionato la persona, anche se non sono frequenti. A partire da questa diagnosi ci sono quindi una serie di possibilità, e vale la regola che curare il prima possibile è consigliabile.
Non bisognerebbe capire le ragioni profonde del panico anziché curarne i sintomi ?
In primo luogo non si conoscono ragioni profonde nel senso di complesse o che si ricavano da un ragionamento su traumi passati. Le paure sono piuttosto il risultato del disturbo. In secondo luogo le terapie non curano i sintomi, ma agiscono sul meccanismo che riproduce gli attacchi. Le cure non insegnano a gestire o a resistere o a ricacciare gli attacchi perché questo non significa farli scomparire o semplicemente non è possibile.
Perché chi soffre di panico ha paura di curarsi e spesso è terrorizzato dall’idea di assumere “psicofarmaci” ?
Questo accade perché la persona con panico ha timore di essere in preda ad effetti non controllabili, come se qualunque oggetto non ben conosciuto potesse scatenare reazioni violente e incontrollabili, oltre che pericolose, nel suo organismo. I farmaci quindi sono inizialmente visti con diffidenza. All’inizio delle cure i farmaci antipanico spesso non risolvono i sintomi subito, ma lo fanno nell’arco di 2-4 settimane, e nei primi giorni gli attacchi continuano a verificarsi o addirittura lo fanno più spesso o con sintomi diversi. Dopo questo primo impatto, si stabilisce l’azione vera del farmaco. Non essendo un ansiolitico che agisce subito e tampona l’ansia, il farmaco antipanico di fondo all’inizio può effettivamente aumentare l’ansia, in parte perché stimola alcuni sintomi prima di fare il contrario (sopprimerlI), in parte perché la persona si aspetterebbe già da subito di vedere qualche effetto, e invece non è così.
Quanto conta la forza di volontà ?
Non corrisponde a niente. La cosiddetta forza di volontà è un “lusso” di chi non è malato o lo è in modo grave. Molte persone amano pensare di essere state gravamente malate, o amano raccontarlo, e di esserne uscite con la forza di volontà. E’ lecito pensarlo e raccontarsi la storia che si preferisce, ma di fatto nel ricostruire questi casi non si ravvisano spesso gli estremi di gravità piena, e soprattutto, se la persona ha conservato la capacità di gestire le crisi, di continuare a esporsi alle situazioni temute, questo più che il risultato di una reazione efficace è il segno di una gravità limitata del disturbo. Pertanto, la propria forza di volontà va applicata alle cure, con pazienza e superando il disagio di doversi curare.
Quanto ci vuole per uscire da un disturbo di panico ?
Il funzionamento delle medicine sugli attacchi di misura di solito in 1-3 mesi. La ripresa delle attività avviene subito o anche nei mesi successivi gradualmente, a volte con “blocchi” su specifiche situazioni che sono particolarmente temute.
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